L’AQUILA – «Le critiche, anche aspre, alle sentenze sono ovviamente lecite, ma devono essere rispettose della dignità e del rilievo costituzionale e non trasformarsi in gratuiti, infondati e non consentiti tentativi di delegittimazione della magistratura e in riprovevole dileggio della giustizia e dei giudici suoi interpreti». Così in un passaggio della sua relazione il presidente della Corte d’Appello dell’Aquila, Stefano Schirò, nel corso della cerimonia di apertura dell’anno giudiziario 2015 ha difeso la magistratura dalle proteste di piazza degli aquilani dopo la sentenza di appello del processo alla Commissione Grandi Rischi in cui sono stati assolti sei dei sette imputati. Il magistrato, senza nominare esplicitamente nella relazione la sentenza relativa alla Commissione Grandi Rischi, ha solidarizzato con i suoi colleghi. Sul terremoto di quasi sei anni fa, Schirò ha ricordato "la gravità e drammaticità che hanno profondamente e incancellabilmente scosso la coscienza civile degli aquilani, il cui immenso dolore rispettiamo e condividiamo" il quale ha sottolineato la «solidarietà e vicinanza ai magistrati di questa Corte e di altri uffici giudiziari abruzzesi per essere stati fatti oggetto, in un contesto di per sé lecito di comprensibile e aspro dissenso – ha affermato – anche di attacchi personali fuori luogo per aver compiuto il proprio dovere nel giudicare secondo coscienza, professionalità, indipendenza e senza condizionamenti». Citando il presidente emerito della Corte Costituzionale, Cesare Mirabelli, Schirò ha aggiunto che «non si possono condividere ‘le manifestazioni dirette a esercitare una qualche pressione sui giudici, reclamando la soddisfazione di una pretesa giustizia sostanziale che forzi le regole del sistema penale e le garanzie del processo», richiamando al fatto che se le sentenze sono o si ritengono ingiuste, «soccorrono gli ordinari mezzi di impugnazione che contribuiranno a rendere giustizia». Dei sette componenti dell’organo scientifico consultivo della presidenza del Consiglio che si riunì all’Aquila il 31 marzo 2009, a cinque giorni dalla scossa che distrusse L’Aquila, sottovalutando il rischio sismico, sei sono stati assolti in secondo grado dalle accuse di omicidio colposo e disastro colposo; in primo grado erano stati condannati a sei anni di carcere ciascuno, e uno solo condannato con pena ridotta. Forte è stata l’indignazione degli aquilani dopo la sentenza di assoluzione tanto che furono organizzate due manifestazioni con la presenza anche di amministratori pubblici oltre ai comitati cittadini e familiari delle vittime: la protesta è finita anche sui social network, su striscioni degli ultras di calcio e sulle maglie della squadra di rugby.
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